Cannabis Light in Italia: Aggiornamento 2021 sulla situazione legislativa Italiana – Parte 1/2

da | Mar 3, 2021 | Cannabis Vending Machine

Pochi mesi fa, a giugno del 2020, pubblicavamo un articolo che faceva il punto sulla situazione legislativa 2020 legata al mercato e all’industria della canapa legale. L’articolo in realtà era programmato per febbraio, ma decidemmo di dare spazio a Canapa Mundi 2020, pensando di pubblicare a marzo l’articolo sullo status legislativo dell’industria verde italiana. Invece è arrivato il covid, e tutto si è fermato in un lockdown planetario, figuriamoci il nostro blog.

E così l’articolo di febbraio 2020 è slittato a giugno; abbiamo voluto pubblicarlo in ogni caso perchè annunciava grandi cambiamenti legislativi, quelli della Legge di Bilancio 2020 entrata in vigore al 1 gennaio 2020. La Legge di Bilancio 2020 segue sulla linea della storica sentenza della Corte di Cassazione dell’estate precedente, che stabiliva che, se la soglia dello 0,5% di THC non produce effetti psicotropici, allora la canapa non ha “efficacia drogante” e quindi di fatto non è uno stupefacente. Di conseguenza, la vendita di cannabis light e prodotti derivati è lecita e legale. E la Legge di Bilancio sancisce la cosa e mettendo a tacere tutti i dubbi e le polemiche, e conferma che la vendita di cannabis legale e suoi derivati con contenuto di THC entro i limiti di legge (0,5%) è legale.

In realtà non è che i parlamentari si fossero sforzati tanto, al punto che nel primo disegno di legge l’intera tematica della commercializzazione di infiorescenze e prodotti derivati dalle piante di canapa light era stato completamente dimenticato. Ma la Legge di Bilancio 2020, chiamata anche MilleDeroghe per via delle innumerevoli deroghe integrate alla legge da vari gruppi parlamentari, riesce ad avere anche una deroga in favore dell’industria della cannabis light. La deroga, proposta da un gruppo di parlamentari del Movimento 5 Stelle guidato dall’onorevole Mantero, inserisce nella Legge di Bilancio un sistema di tassazione dei prodotti di canapa legale, che di fatto ne autorizza la commercializzazione.

Non esultate troppo presto. Poche settimane dopo, il 23 gennaio 2020 la Commissione Affari Costituzionali e Bilancio della Camera ha giudicato inammissibili oltre 900 emendamenti della MilleDeroghe, tra cui quello relativo al commercio ed utilizzo della cannabis light. L’emendamento sulla canapa legale è stato dichiarato, come tutte le altre centinaia di emendamenti rigettati “non strettamente attinente alla materia”.

Nel frattempo la Corte di Cassazione, il 19 dicembre 2019, aveva deliberato in favore del fatto che la coltivazione casalinga di cannabis, anche “ad effetto drogante”, ma se fatta in forma amatoriale, domestica, in quantità limitata e ad uso personale, non costituisce reato penale. Un grande passo avanti per i movimenti antiproibizionisti, e che arriva un paio di settimane dopo l’annuncio che la Commissione Narcotici dell’ONU ha deciso di eliminare la cannabis terapeutica dalla lista di droghe pericolose, riconoscendone invece ufficialmente le proprietà mediche.

Grande passo? Forse… in realtà, come potete vedere dai dettagli giuridici della sentenza seguendo il link, nel caso discusso dalla Corte di Cassazione è stata fatta decadere la denuncia penale, ma è rimasta la sanzione amministrativa, quella prevista dal famoso articolo 75 DPR 309/1990, che considera sanzionabile la “detenzione di sostanza stupefacente destinata in via esclusiva al consumo personale anche se ottenuta con una coltivazione domestica lecita”.  Da segnalare che le ricadute di una sanzione ex-articolo 75 possono essere pesanti, e possono arrivare alla sospensione della patente di guida e successivo percorso di recupero della patente definitiva attraverso analisi, test antidroga e visite mediche da effettuare in Commissione Medica per un periodo minimo di 8 anni.

Ma torniamo alla Legge di Bilancio 2020, che nello spirito “di apertura” della Cassazione, aveva stabilito che la commercializzazione di prodotti di canapa legale, incluse le infiorescenze, non era più reato. Cosa che non lo era mai stato a partire dalla Legge 242 del 2016. Poi invece ci ha ripensato non definendone i parametri per la commercializzazione, creando confusione e alimentando ancor più i dubbi diffusi anche a livello popolare dalla destra proibizionista italiana. A novembre 2020 i parlamentari 5 Stelle hanno tentato di nuovo di presentare l’emendamento, questa volta cercando di includerlo nel Decreto Ristori, ma anche questa volta con scarsi risultati, come riportato da uno dei nostri magazine preferiti di settore, BeLeaf Magazine.

Tornando ad inizio 2020, non si sapeva più cosa pensare. E ancora non sapevamo che da lì a poche settimane la pandemia covid19 ci avrebbe costretti ai primi lockdown di marzo 2020. Che poi sembra che i lockdown covid non abbiano fatto male all’industria cannabis, anzi… benché costretti a tenere chiusi negozi e attività lavorative, “sembra che” l’industria ecommerce della cannabis italiana abbia fatto numeri da record, si è parlato di almeno il 300% in più di fatturato per i nostri canapai digitali. I giornali e telegiornali non fanno altro che ricordarcelo da mesi.

Ma sarà vero? Sicuramente si per qualcuna delle aziende più grosse, che hanno potuto contare anche sulle vendite dei distributori automatici di cannabis legale presenti in tutte le vetrine dei propri cannabis shop in tutta Italia. E probabilmente è vero per i mesi di “lockdown duro” di marzo-aprile-maggio 2020. Una volta di nuovo per strada, anche se con distanziamento sociale e tante nuove regole, la gente ha ripreso ad uscire di casa, e l’ecommerce è di nuovo tornato ai livelli di sempre. C’è da aggiungere che chi non ha potuto contare su punti vendita aperti in lockdown, ed ha dovuto contare soltanto sul canale web, ha avuto altre “simpatiche sorprese” nel 2020, tutta una serie di ostacoli alla promozione e commercializzazione della canapa legale. In realtà il trend era iniziato con i divieti per l’industria cannabis da parte di Google, che proibisce l’utilizzo della piattaforma di annunci a pagamento per i prodotti del mondo cannabis, anche se legale, e anche nei paesi in cui è stata legalizzata.

A seguire, per tutto il 2019 ma con maggiore rigidità nel 2020, le censure di Facebook e Instagram hanno cominciato a bloccare account del mondo cannabis, incluso quello della cannabis legale. In realtà il “trucco” per evitare di essere bloccati è semplice: mai mettere “primi piani” di infiorescenze, o di prodotti impacchettati che chiaramente contengono cannabis, mai parlare di prezzi e di negozio, e soprattutto mai mettere l’indirizzo fisico del negozio o taggare la location di foto a carattere “cannabis”. La linea è sottile, ci vuole poco a fare una cavolata, magari un #hashtag non gradito, e vedere andare in fumo tutto il lavoro sviluppato in mesi o anni con le community delle reti sociali.

Nel 2020 il colpo più pesante all’ecommerce del mondo cannabis light è stato però quello bancario. Praticamente tutti i principali sistemi di pagamento online, spina dorsale di qualsiasi sistema di ecommerce, hanno messo in “blacklist” il mondo cannabis. Stiamo parlando dei blocchi all’ecommerce cannabis legale da parte di PayPal, Stripe, Amazon Pay e a seguire fino ad arrivare a providers italiani come Banca Sella. Nel giro di un paio di mesi, all’inizio del 2020, tutti gli account di pagamenti bancari e i relativi sistemi di ecommerce sono stati congelati, e a volte anche i fondi che stavano sull’account (come nel caso di PayPal, che ha bloccato i fondi per 180 giorni).

Alcuni siti cannabis, italiani ed europei, continuano a funzionare con le loro piattaforme PayPal o Stripe, ma è solo questione di tempo prima che, ad uno dei prossimi controlli “random”, anche questi accounts possano rischiare di essere bloccati. Davvero pensate che in queste condizioni l’industria cannabis italiana sia cresciuta del 300%?

Finisce il lockdown, e ricominciano i problemi per l’industria della cannabis legale italiana. E tutto per i soliti pasticci e incompetenze dei politici di turno. Noi avevamo tutti plaudito alla Legge di Bilancio 2020, ma in realtà la legge ha creato più confusione che altro. “Sembrerebbe” che data la non presenza di “effetto drogante” il CBD non possa più essere perseguito come droga. Invece, proprio alla “riapertura” post-lockdown, un po’ dappertutto in Italia, tornano a verificarsi i raid delle forze dell’ordine sia a negozi di cannabis legale che ad aziende agricole. Con multe, sequestri, e denunce penali. E questo perché, ad oltre 3 anni dalla Legge 242 / 2016, che avrebbe dovuto regolamentare la coltivazione e il mercato della cannabis utilizzata per utilizzo industriale e terapeutico, non c’è ancora un quadro legislativo chiaro che renda possibile la commercializzazione e il consumo di infiorescenze di cannabis legale. Alle “dimenticanze” della Legge di Bilancio 2020 si aggiungono infatti tantissime altre “aree grigie normative” su aspetti non ancora regolamentati, o regolamentati in modo rigido, cosa che ha causato l’ondata di sequestri e denunce del 2020. Non è bastato che i produttori e le marche di cannabis light abbiano messo in evidenza sulle confezioni dei prodotti di canapa legale, soprattutto le infiorescenze, che “il prodotto è da intendersi quale oggetto da collezionismo”. La cosa fa un po’ ridere, perchè in genere i prodotti da collezionismo sono oggetti che si conservano nel tempo, mentre chiaramente le infiorescenze di canapa legale, seppur sigillate nei loro contenitori, non manterranno le proprietà per più di qualche mese, massimo un anno… un po’ come decidere di diventare collezionisti di banane, o di fiori da giardino recisi.

Tra i “cavilli” che spesso sono stati al centro dei sequestri 2020 di intere produzioni, serre e negozi di cannabis legale vi è quelli legati alla provenienza dei semi coltivati, che devono essere rigorosamente di provenienza e genetiche italiane. Oppure in merito al famigerato 0,5% di contenuto TCH, con casi di sequestro di un’intera produzione che rispettava i limiti di legge, perché in fondo alla serra sono state trovate alcune decine di piante sulle cui genetiche si stava lavorando per “portarle entro i limiti di legge”, ma ancora alle analisi erano a… 0,6-0,7%. Questo quando una pianta con contenuto di THC ad  “effetto drogante” blando in genere presenta almeno un 10% di contenuto THC, 15% quando “l’erba è buona”, e 20 / max 25% THC nelle super genetiche da laboratori californiani o olandesi. Qualcuno spieghi al legislatore italiano che se a 0,5% non c’è efficacia drogante, certamente a 0,7-0,8% ma anche all’1% la canapa legale resta un prodotto naturale dai tanti benefici, ma che certamente non contemplano “lo sballo”.

Altri cavilli che hanno portato a sequestri e denunce? Ad esempio il fatto che alcuni cannabis stores e grow shops presentino le infiorescenze di canapa legale dentro barattoli di vetro, per permettere ai clienti di vedere le infiorescenze e di sentirne le fragranze prima dell’acquisto. La cosa è stata al centro di sequestri di prodotto perché apparentemente non si può essere certi che le infiorescenze presentate nel barattolo siano le stesse dichiarate nelle analisi di laboratorio, che potrebbe invece essere sostituita da cannabis con “efficacia drogante”, quindi nel frattempo si sequestra il tutto per analisi di laboratorio. Se va bene, dopo l’esito negativo delle analisi, potrebbero passare oltre sei mesi prima di ricevere i prodotti sequestrati. Per allora, le infiorescenze saranno secche e disidratate, avranno perso parte delle proprietà benefiche e degli aromi dei terpeni, e non saranno certo prodotti da rimettere in vendita.

Altre multe e sequestri, stavolta sul fronte della produzione della canapa legale, sono state motivate dal fatto che, sebbene le aziende multate coltivassero le loro genetiche di canapa light rispettando i parametri di legge, le piante coltivate non erano state ottenute dai semi previsti dalla legge, quelli di genetiche approvate come Carmagnola, Eletta Campana, Villanova e Kompolt, tra le altre.

Altra “mazzata” quella ricevuta dal settore grow shops con la sentenza della Corte di Cassazione dello scorso 17 settembre 2020, secondo la quale “è ravvisabile nella condotta di chi mette in commercio semi di cannabis, corredandoli di un manuale per la coltivazione, un nesso ideologico e programmatico idoneo ad attribuire in modo inequivoco, in capo al venditore, l’attività di commercializzazione di semi e la coeva esternalizzazione di un messaggio indirizzato agli acquirenti del prodotto, in termini di istigazione alla commissione di illeciti” (Cassazione Penale, sezione IV, sentenza 17 settembre 2020, n. 26157) – ovvero, vendere semi di cannabis associando un manuale di coltivazione è istigazione a delinquere.

Il 2020 è stato così pieno di colpi di scena per l’industria della cannabis legale italiana, che in realtà di roba da dire ne resta tanta. Al punto che dobbiamo tagliare qui questo articolo per darvi appuntamento alla prossima settimana per la parte conclusiva del nostro report con aggiornamento 2021 sulla situazione normativa italiana di settore.

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